Il femminismo e le radio libere nel ’77 in Italia e a Taranto
di Roberto Nistri
Note:
©Roberto Nistri 1999. Tutti i diritti riservati. Edizione elettronica (e-text)
dell’articolo apparso su “scintille” n. 6 del maggio 1997, p. 4.
È un luogo comune che, di tutti i fermenti che accesero gli animi in quel tormentato ’77, la componente femminista è quella che più fecondamente e irreversibilmente ha agito nei decenni successivi, grazie anche alla sua originale asimmetria rispetto alle culture politiche della sinistra, “vecchia” e “nuova”, istituzionale e di movimento, con le quali il rapporto fu “allo stesso tempo di adesione e di presa di distanza, contaminazione e differenziazione” (I. Dominijanni).
Venti anni fa il movimento delle donne, che era portatore di una critica radicale dello statuto tradizionale della politica, si trovò a dover riaffermare con sempre maggiore forza la propria autonomia rispetto a quell’ampio movimento di contestazione cui pure era accomunato dalla critica dell’individuo - produttore e dell’enfatizzazione della sfera dei bisogni e dei desideri. Il femminismo doveva proteggere, dentro e fuori le varie aggregazioni politiche, affermazioni come “il personale è politico” da malintenzionate interpretazioni (del tipo “il privato è politico” che riduceva la spinta all’espansione del progetto politico complessivo negli augusti confini della valorizzazione dell’individuale (o, peggio, del malessere individuale) esasperando, all’insegna dell’immediatismo e del selvaggismo, le spinte più (auto) distruttive.
Quell’anno anche a Taranto il movimento femminista fu il vero protagonista della "contestazione". La primogenitura in questo campo spetta al Collettivo Femminista, che era sorto nell’estate del ’74 attorno ad un nucleo di simpatizzanti della IV Internazionale (si riunivano nella grande sede al n. 2 di Via Fratelli Mellone), al quale si aggiunsero ben presto donne di altra formazione culturale : studentesse, insegnanti e alcune casalinghe presero contatto attraverso il numero telefonico di Betty Rizzo (il mitico 22885) che campeggiava nel mensile "Effe" e nel volumetto "Italia alternativa".
Il gruppo (oltre alla Rizzo, Maria Zupo, Rita Baldaccone, Pucci Di Giovanni, Anna Scuro, Ghita Peluso, Rosanna Frediani, Cinzia Mancini, Dely Decembrino, Franca Cammarota, Annamaria Palladino, Etta Buffo, Lucia Salvemini...) Lavorò a lungo per definire la specificità del movimento, rifiutando sia la subalternità alla logica "partitica" della classe contro classe sia il "separatismo" della logica sesso contro sesso.
Fronteggiando le reazioni di una città difficile e piena di pregiudizi, il Collettivo produsse un documento che ebbe una certa risonanza su scala nazionale, Non c’è liberazione della donna senza rivoluzione, e prese a svolgere una campagna d’informazione di massa sulle tecniche di contraccezione e per l’interruzione di gravidanza sicura, libera e gratuita (memorabile la manifestazione al cinema "Alfieri" con la leader radicale Adele Faccio).
Il Coordinamento Femminista (Dolores David, Caterina Putignano, Paola Rivera, Licia Spada, Anna Pierri, Paola Lavermicocca...) aggregava invece le "commissioni femminili" dei vari gruppi politici, con i quali gruppi doveva ben presto entrare in conflittualità. Il Collettivo e il Coordinamento avevano in comune la critica del moderatismo e dell’ultraburocratismo dell’Unione Donne Italiane (tradizionalmente legata al PCI e al PSI). Nel ’77 praticamente in ogni scuola era organizzato un collettivo femminista e la sede del CF in Via Mellone si era trasformata in Centro Sociale delle Donne, sviluppando un discorso sulla "medicina della donna" e sul ruolo dei consultori. L’8 marzo venne organizzata un’assemblea presso la Uilm e una grande festa (l’unica del ’77 tarantino) in piazza della Vittoria.
La mobilitazione in difesa della maturità responsabile e della difesa dell’aborto legale era sempre l’asse portante, ma le tematiche si ampliavano. Si leggeva nel bollettino "Donne in lotta" n. 10 : "Per noi gestire questo Centro significherà allargare la pratica femminista di presa di coscienza del nostro corpo e di gestione autonoma della nostra salute, attraverso la consulenza medico - ginecologica che non dovrà avere carattere assistenziale ; significherà lottare perché i diritti di ciascuna vengano rispettati e soprattutto conosciuti dalle donne che potranno usufruire della consulenza legale fornita dal Centro. Consulenza ginecologica e legale... per noi sono il presupposto per generalizzare la presa di coscienza femminista e per mobilitarci contro la nostra oppressione quotidiana".
Su "Donne in lotta" n. 11 si registrava anche un curioso dibattito sulle "parolacce" : Nuccia proponeva di "Inventare parolacce femministe", mentre Betty, Maria e Marina denunciavano il carattere sempre "repressivo e sessuofobico" delle parolacce.
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Il Collettivo Femminista teneva regolarmente la sua trasmissione a "Radio Città Futura". Le radio libere erano diventate 500 in tutto il paese : un centinaio, le più povere, erano le radio "democratiche e militanti", cioè quelle legate ai gruppi della sinistra che, oltre a trasmettere musica e pubblicità, registravano nelle fabbriche e nelle case occupate, nei cortei e nelle piazze.
Le emittenti hanno quasi sempre un palinsesto precario, che viene regolarmente stravolto dalle notizie che arrivano in redazione, sia che si tratti di un’assemblea studentesca che di una riunione di un Consiglio di Fabbrica. Nelle manifestazioni di piazza, le radio libere diventano le radiotrasmittenti dei cortei. "Radio Città Futura" fu uno dei punti di riferimento per il "movimento", fra l’inizio e la consumazione finale della crisi dei "gruppi". Era tenuta su, con un certo spirito unitario, da un gruppo di militanti del Movimento lavoratori (Mimmo e Bartolo Benegiano, Eugenio D’Amato, Pino De Padova, Franco Stasi, Tonino De Giorgio) ma anche da alcuni giovani del PCI e qualche "sciolto" tipo Ciccio Vinci e Francesco Cecere, che parlavano di musica e di condizione giovanile.
Nacque anche un’altra radio di sinistra, "Onda libera", tenuta da ex militanti di Lotta Continua e dal trotzkista Ciccio Semeraro. Ma anche la battaglia (immortalata da Eugenio Finardi) della "radio libera" e della "musica ribelle" stava per giungere al capolinea: l’antistatalismo del movimento sarebbe stato ben presto surclassato dall’ultraliberismo comunicativo della nuova classe di governo. Si apriva l’era delle telenovelas.